L’ultima “mia” del Gran Sasso: Il Torrione Cambi!

 

‘Rotondi che ti telefona e ti chiede se è pronto il caffè alle 06:00 non ha prezzo....per tutto il resto c’è Mastercard...’ due secondi dopo si sarebbe aperta la porta del camper di Fernando, il nostro Nomix, con lui sorridente ed ancora in pigiama. Ridendo e scherzando abbiamo fatto colazione insieme, raccontandoci le ultime; era la prima volta che arrivavo così presto al cospetto della ‘mia’ montagna. Lungo la strada che conduce a Campo Imperatore, racconto al mio amico, avevo incontrato cinque o sei persone con le lampade frontali che iniziavano la sterrata che li avrebbe portati a Vado di Corno per iniziare il ‘loro’ Centenario. I fari della mia macchina mentre scivolava via lungo la strada che avrebbe condotto al parcheggio di Campo Imperatore avevano svegliato una lepre che a bordo strada, dopo essersi stropicciata gli occhietti, all’improvviso mi avrebbe attraversato la via in fretta e furia per scomparire dalla mia vista; di li a poco avrei visto  la sagoma delle punte affilate del Gran Sasso che svettavano più nere dell’oscurità che le avvolgeva...ancora più temibili. Dopo aver trascoso quei minuti mangiando qualche biscotto e un buon caffè i colori dell’alba iniziavano ad irradiare il piccolo Tibet e dare colore alle pareti più alte che fronteggiano l’Adriatico. In poco più di tre quarti d’ora eravamo pronti ad iniziare una nuova splendida avventura, muovendo i primi passi sul sentiero che ormai conosciamo a mena dito. Ogni volta, poco prima di arrivare alla sella del monte Aquila, dopo aver svoltato quell’ultimo tratto del sentiero preso dall’Osservatorio, il paretone del Corno Grande si innalza davanti a me e, ricordo indelebile, rivivo ancora la prima volta che lo ammirai con Doriano: in quell’occasione l’emozione fu così forte da lasciarmi stordito per qualche minuto, commosso davanti a quello spettacolo. Amante dei nostri Appennini, quella volta provavo qualcosa che ancora calpestando i nostri monti non avevo mai sentito; da allora ogni volta che mi ritorovo piccolo viandante al cospetto di queste superbe cime le sento ‘mie’ in un subbuglio di emozioni: rispetto, paura, desiderio, passione, ammirazione...tutto si sussegue in me in ordine confuso e destabilizzante; è un momento difficile da descrivere. Mentre passo la sella del monte Aquila poi, quella montagna che imprigiona i sensi seppur conosciuta, toccata, scalata fin su in vetta sembra sempre inarrivabile.
Le sfumature dell’alba disegnano sulla nostra destra un Centenario incantato: solo le punte più aguzze vengono delineate e sottolineate da un susseguirsi di colori inebrianti dove un giallo brillante ne esalta le asperita rendendole ancora più affascinanti. Si vede quasi per intero; incantati a seguirne le linee, Nomix ed io ne disegnamo sul suo sentiero i passi dei cinque escursionisti che avevo incontrato venendo, dalla loro partenza a Vado di Corno, procedendo per il Brancastello, poi Torri di Casanova, seguendo per l’Infornace fin sull’aspro Prena e l’imponente Camicia che ne nasconderà con la sua mole la discesa al Tremoggia e al Siella e da lì alla mitica ‘braceria’ di Fonte Vetica dove noi avremmo concluso la giornata e la magica impresa davanti a succulenti arrosticini annaffiati da un buon Montepulciano.
Torniamo in noi, guardando verso l’alto; passato il Sassone (2560 mt) manteniamo il filo di cresta fino ad arrivare al cartello riportante la scritta ‘Rifugio Bafile’ abbandonando la direttissima che ci avrebbe condotto sul tetto appeninico più alto d’Italia a 2912 metri.
Finalmente ci siamo: richiudiamo i bastoni, ci infiliamo l’imbrago, indossiamo il caschetto e via verso la ferrata che ci avrebbe condotto alla conca sotto le cime aguzze della cresta che conduce alla Vetta Occidentale del Corno Grande; ai nostri piedi la splendida e suggestiva Valle dell’Inferno. La ferrata, in alcuni punti molto utile, ci aiuta ad oltrepassare rocce assai levigate e scivolose. Il Bafile (2668 mt) è lì, superbo che ci osserva dall’alto. L’ultimo tratto della via assicurata dal cavo d’acciaio ci vede divertiti farci reciprocamente foto in uno scenario caratterizzato da uno sbalzo d’effetto seppur in totale sicurezza. Finisce la ferrata e ci ritroviamo nella comba detritica: tagliamo velocemente il breve tragitto breccioso per ritrovarci sotto l’aggancio della parete che ci avrebbe portati alla forchetta del Calderone.
Iniziamo una salita stimolante: quella cresta affilata e slanciata verso un cielo azzurro e limpido sembra chiamarci; il ritmo cala, la concentrazione aumenta; ora non possiamo più sbagliare perchè potremmo pagare molto caro qualsiasi errore. Valutiamo molto bene dove incastrare le mani e dove poggiare i piedi; la roccia è buona e ci da parecchio sollievo. Fernando conosce quella salita come le sue tasche, ma non si deconcentra neanche un istante: presta attenzione ad ogni movimento...ad ogni passaggio. Saranno stati tratti di terzo grado, non di più, ma la vera difficoltà era non farsi suggestionare delle importanti esposizioni e coinvolgente atmosfera che creavano quelle dure line acuminate. Ci circonda un silenzio assordante; un lieve fruscio mosso dal vento lo rompe di tanto in tanto e ci fa respirare in una magnifica e assolata giornata ottembrina dove non stiamo correndo nè camminando agevolmente su sentieri battui, ma arrampicando lentamente sulla parete che porterà in cima al mondo...sudiamo. Parliamo un pò meno adesso e commentiamo solo il tratto affrontato o da affrontare e quale passaggio fare, se a destra o sinistra. La forchetta del Calderone è raggiunta: in quella cornice di roccia slanciata verso l’alto si disegna al centro di un meraviglioso quadro il Corno Piccolo con tutte le sue frastagliate e taglienti punte; dietro la Laga, poi i Sibillini; lo sfondo è blu di un cielo mai stato così limpido. Avevamo fatto parecchio, ma il bello doveva ancora venire. Fernando dà uno sguardo all’orologio...ci avevamo impiegato poco più di due ore e mezza!!! Ci concediamo un breve ristoro: consumiamo mezza barretta di cioccolata e ci dissetiamo; lo sguardo è perso tra quelle belle via di salita che conducono fin su accanto a quella malandata croce posta sul punto più alto del Corno Piccolo. Guardando dall’altro lato, il Centenario è ora ben visibile, illuminatissimo dalla nostra stella ed il Bafile, più vicino, è ora giù, sotto di noi.
Ci assicuriamo con una corda nella discesa verso il terrazzo?
Ma no...in fondo i passaggi non sono pericolosi basta non farsi suggestionare dal guardar giù, qualche centinaio di metri sotto dove l’antico ghiacciaio più a sud d’Europa, ormai da qualche anno sguarnito della sua copertina bianca di neve in questi primi giorni autunnali, potrebbe far vacillare le gambe di chi non ama grosse esposizioni. La discesa è breve fino al terrazzo: una volta nostro, lo attraversiamo senza distogliere mai lo sguardo dall’affascinante Vetta Centrale (2893 mt) che ci para davanti. Il balcone, ora che ci siamo sopra, si rivela non troppo difficile da fare, naturalmente rimanendo sempre molto attenti a non commettere qualche scivolone e mantenedoci accostati alla parete rocciosa alla nostra destra. Il silenzio tenuto in quel tratto esposto è interrotto dal vecchio Fernando: ecco ‘la Gualerzi!’ esclama.
Riprendiamo a salire puntando in diagonale verso destra tra due lame di roccia. La salita è divertente e arrampicare tra due pareti quasi incastrati ci da maggiore sicurezza; il venticello fin’ora quasi piacevole diventa più insistente; arriviamo agli ultimi 5 metri verticali...passati...siamo lì...tocchiamo il cielo a 2875 metri. Entrambi emozionatissimi: si leggeva sui nostri volti l’entusiasmo e la felicità di aver raggiunto quella vetta in una giornata che sembrava magica, fatata...perfetta!!! Il mitico Nomix era parecchio che per scelte, situazioni, impegni non si trovava a calcare quella cima e rivivere sensazioni già provate, forti e intense; per qualche minuto rimane ibernato, assorto nelle sue più intime riflessioni; non lo disturbo..ero immerso in quel cielo toccato da quella stradesiderata punta...con quella vetta programmata da tempo immemore, rimandata, sfiorata e finalmente conquistata avevo toccato tutte e 39 le vette sopra i duemila metri del Gran Sasso, dalla prima cima tocata, la Vetta Occidentale, che vedevo a poca distanza e affollata come sempre, passando per il famigerato Dente del Lupo, fino al Torrione appena raggiunto. Appagato, soddisfatto e felice...ce l’avevo fatta. Parliamo poco; ammiriamo le vette circostanti e lo scenario che ci circonda a bocca a perta, come due bambini immersi nel loro parco giochi preferito o meglio nel parco giochi fatto per loro, su misura, solo con le giostre che li fanno impazzire e dalle quali non scenderebbero mai...quelle in cui si sentono liberi e protagonisti unici del loro mondo.
La sosta tuttavia non è lunghissima; poco dopo siamo già intenti ad assicurarci alla prima sosta per ridiscendere in doppia; i 60 metri della corda portata da Fernando è perfetta per le calate, non serve unirla con la mia. La seconda sosta è raggiunta in breve: ci assicuriamo, raccogliamo la corda che viene legata allo spit e velocemente rilanciata e si riparte. Gli spit che troviamo già inseriti nella roccia per le calate sono perfetti, affidabili. Le soste sono diverse: cinque, sei. Non incontriamo nessuna difficoltà; in scioltezza, divertiti e veloci procediamo speditamente verso il bordo del Calderone.
Ci mettiamo meno di un’oretta a ridiscendere; raccolta la corda, tolti i caschetti e gli imbraghi ci sediamo sulla parte del sentiero breccioso che portando al Passo del Cannone, e da lì sul comodo sentiero fino al parcheggio inizio della giornata, ci permette di ammirare da un lato il Corno Piccolo e il Franchetti ai suoi piedi e dall’altro il percorso appena fatto e la vetta appena conquistata. Mangiamo qualcosa mentre, compiaciuti, ammiriamo la nostra impresa. Fernando ringrazia me per averlo spinto a ritoccare una cima amata e un pò trascurata, io faccio lo stesso con lui per essere stato il compagno perfetto per toccare insieme l’ultima ‘mia’ cima ancora inesplorata del gruppo montoso del Gran Sasso. I nostri occhi sereni e felici scrutano quelle montagne che ci hanno regalato ancora una volta qualcosa di unico che porteremo per sempre con noi, come ci ripetiamo ogni volta e come non smetteremo mai di fare.
Lo spensierato ritorno alle macchine termina sette dopo la nostra partenza; rimettere in moto l’auto alla volta di casa rattrista un pò, ma Quelli di Aria Sottile sanno bene che ‘loro’ saranno sempre lì ad aspettarci..ogni volta che vorremo, che nè avremo bisogno.